È desolante constatare, se ancora ce ne fosse bisogno, come i deserti delle democrazie mediatiche siano costantemente abbacinati dagli abbagli di non-notizie, centrifugate nella poltiglia indistinta di una generalizzazione piagata dalla massima approssimazione… L’importante è impressionare, scuotere l’attenzione nel sensazionalismo dell’attimo; giammai approfondire e razionalmente ponderare.
E fu così che in un brutto giorno d’autunno l’italiota medio, dal fondo del suo salottino misero-borghese, scoprì l’esistenza delle baby-prostitute e delle porno-lolite che arrotondano la paghetta avita con ben più consistenti marchette mercenarie. Piaga antica come l’umanità e universalmente diffusa, della prostituzione minorile parlava ampiamente (per dire) anche il Satyricon di Petronio: testo che nei licei seri ancora si legge, o si traduce direttamente dal latino.
In Giappone, vengono chiamate Enkou shōjo e la pratica si accompagna spesso allo squallido fenomeno conosciuto col nome di Enjo kōsai…
Dalle nostre parti, ne ha scritto diffusamente Alberto Moravia in uno dei suoi romanzi più duri: “La vita interiore”, guarda caso ambientato negli ambienti pariolini della Roma bene.
In tempi più recenti, il pubblico meretricio delle prostitute bambine, consumato nell’indifferenza generale lungo i viali metropolitani, si è trasferito direttamente nelle dimore imperiali del Papi della Patria ed eletto a pratica ordinaria, tra gare di burlesque e cene eleganti con la partecipazione straordinaria della nipote marocchina dell’egiziano Moubarak.
Ovviamente, a destare scandalo è un fattaccio di cronaca cittadina da usare come stura per un allarmismo ipocrita, dietro il quale si cela però una morbosità malsana, per alimentare le paranoie di genitori già patologicamente iperansiogeni, divorati dai sensi di colpa di peter pan assenti.
Le altre non-notizie del momento sono tutte all’insegna del medesimo squallore, applicato al deprimente grigiore politico del tempo presente: la non-decadenza del Pornonano; le non-dimissioni del Guardasigilli; le non-proposte di un non-partito, che si rianima a colpi di fake e tra le esibizioni di rutto libero del “capo politico”, per camuffare un’incompetenza imbarazzante…
E in tal senso, l’ennesima boutade pentastellata circa il sedicente “reddito di cittadinanza” è già sfrecciata via come una cometa in disfacimento, per ricadere subito nel dimenticatoio dell’idiozia, ridotta qual’è a buffonata mediatica, dissolvendosi nei fumi della sua pretenziosa inconsistenza tra declamazioni trionfali ed effimeri scoppi di mortaretti.
È un avvicendarsi di imbonitori e venditori sul palco della ribalta, al grande incanto delle proposte irrealizzabili: dal presidente operaio e un milione di posti di lavoro, a mille euro per tutti! Anzi no: 600… 800… 400… è un asta al ribasso, ora al rilancio!
Superato il dramma, resta la farsa.
Tutto si sussegue alla stregua dei trucchi da baraccone di un prestigiatore impazzito, che dal suo cilindro magico non fa altro che tirare fuori, coniglietti, tortorelle e mazzi di fiori a getto continuo, tentando invano di impressionare un pubblico sempre più annoiato e distratto.
In tempi di agonia politica, l’agone appartiene agli attori travestiti da tribuni ed ai venditori camuffati da moralisti… Un vecchio vizio tipicamente italiano, che anarchici preveggenti come Camillo Berneri conoscevamo bene e sapevano riconoscere dietro le pratiche della “demagogia oratoria”:
«A forza di seminare sciocchezze a piene manciate, a forza di provocare diarree di entusiasmo senza pensiero, a forza di lanciare delle trovate da ciarlatani invece che delle idee nette e ferme, siamo giunti al fascismo. E non abbiamo ancora imparato che pochissimo, nonostante che la lezione sia stata disgustevole di olio di ricino, dura di manganello, lacrimante sangue e sghignazzante con tutti i denti, come la morte sghignazza. Oh, che ci vuole agli Italiani per stomacarli?
[...] Il predicatore, sia tonsurato sia ateo, sia fascista sia giacobino, è facondo sempre ma non mai eloquente. La facondia permette di parlare a lungo ed elegantemente senza esporre idee che non siano dei luoghi comuni.
[...] Il facondo senza eloquenza è il tribuno volgare. Prato ondante al vento della parola, la folla accoglie il fondiccio di torbidumi ideologici, si compiace delle cascatelle di metafora più o meno barocche, si meraviglia della fluidità dell’eloquio, si lascia impaniare dalle civetterie del gesto e dei toni. Ma finito il discorso-spettacolo, non rimane, nei cervelli, che qualche vaga immagine fumosa
di tutti quei razzi e di tutte quelle girandole. Alla domanda dell’assente: “Che cosa ha detto?” non vi è altra risposta: “Ha parlato bene”, che altra risposta non è possibile.»Camillo Berneri
da L’Adunata dei Refrattari
(28/03/1936)
Domani è un altro giorno, con un nuovo palinsesto da riempire…
