Checca, finocchio, culattone, busone, ricchione…
C’è qualcosa di straordinario nella quantità di sinonimi che la lingua italiana riesce a produrre per esprimere il medesimo concetto, declinato in ogni sua sfaccettatura possibile, meglio se
in senso dispregiativo. Solo la prostituzione, considerata (a torto) come una peculiarità femminile, è fonte privilegiata nella ispirazione di una ricchezza lessicale perfino maggiore; senza che peraltro ci sia un’uguale corrispondenza di sinonimi per indicare il virile ‘cliente’, o per meglio dire: l’utilizzatore finale della fruizione a pagamento.
Per contro, è quantomeno interessante notare come, al di fuori degli ambiti meramente domestici e subordinati, il termine assuma invece una valenza onnicomprensiva, essendo estensibile ad ogni situazione che possa insidiare la naturale supremazia maschile con le sue friabili sicurezze di ruolo, costantemente alla ricerca di riconferme nell’alveo rassicurante di stereotipi condivisi.
Ruolo che ha bisogno di essere ribadito nell’esibizione dell’identico disprezzo per froci e puttane (estensivamente ‘donne’). Sicché proprio il disprezzo è l’unico elemento che sia davvero in grado di trascendere i generi per assicurare la sola “parità” riconosciuta in un sano contesto tradizionale, tale da tener conto del giusto rapporto tra sessi diversi secondo le regole di natura.
Tra i soliti idioti dell’integralismo fascio-clericale (questo è ed ipocrita sarebbe chiamarlo diversamente) la sola evocazione della parola “omosessuale” può provocare crisi di rigetto incontrollate per reazione immediata. Funziona come il biancospino per i licantropi o l’aglio per i vampiri: la natura del fascio-integralista viene subito fuori, rivelandosi per ciò che è in
tutto il suo squallore culturale. Perché se l’omosessualità resta indifferente ai più, al netto delle ironie, sembra invece generare scompensi insostenibili a questi difensori della “famiglia sacralizzata dal santo vincolo del matrimonio” (ammesso che una simile definizione voglia davvero dire qualcosa), tanto basta un nonnulla a mettere in crisi un modello di vita che evidentemente così solido non deve essere. Il riconoscimento di una situazione oggettiva, con l’estensione di un pacchetto minimo di diritti che nulla toglie a questi alfieri della “famiglia tradizionale”, costituisce una minaccia insostenibile e lascia supporre un’identità sessuale (con relative inclinazioni represse) quanto mai incerta, che vacilla ad ogni minimo sussulto e viene esorcizzata nell’esibizione teatrale di un’omofobia militante, ogni volta viene pronunciata la parola proibita.
Ovvio che poi gli effetti collaterali abbiano risvolti altrettanto esilaranti, che nei casi più estremi rasentano i sintomi tipici del disturbo psicotico.
In fondo a destra, accanto ai deliri mistico-identitari dei catto-talebani e dei nazisti di Forza Nuova, una parentesi a parte meriterebbero i deliri complottisti di una nutrita accolita di dementi tra i quali, per furore e livore, si distinguono le paranoie di nevrotiche compulsive, nonché sedicenti “psicologhe sperimentali” (non facciamo nomi per pubblicità
inopportune), convinte che la presunta “teoria del gender” (?) sia uno strumento delle entità occulte del Nuovo Ordine Mondiale, per fiaccare lo spirito combattivo dei maschi europei (!!) e così favorire l’invasione allogena (leggi ‘islamica’) con sostituzione etnica e ibridazione razziale per crollo della natalità, presumibilmente come complemento dell’immaginario Piano Kalergi.
A tali stronzate possono arrivare le perversioni di una mente disturbata!
Fortuna che rispetto al dramma prevale la farsa colorata di
un Roberto “Bobby” Formigoni: lo scroccone votato alla castità (dice lui), già famoso per le sue sceneggiate (da “checca isterica”) in aeroporto, le improbabili camicie fiorate e la collezione di giacche salmonate dagli equivoci colori pastello. Altresì è lo stesso che può vantare una decennale convivenza col suo compagno (di preghiere) Alberto Perego, quale riuscitissima coppia di fatto per un duraturo legame ‘omosessuale’, nel senso di convivenza tra persone dello stesso sesso sotto il medesimo tetto non coniugale.
Ma abbiamo anche la più grande comunità gay non riconosciuta del pianeta: quell’associazione consacrata al pubblico mantenimento di uomini in sottana che si fa chiamare “chiesa”, con le sue ossequienti protuberanze in
parlamento. Non per questo vogliamo ignorare la compagnia di giro che ruota attorno ai rituali sanfedisti del Family Day, con le sue sentinelle in piedi, sdraiate, sedute, che fingono di leggere libri mai nemmeno sfogliati; i devoti del papa-re; gli adoratori di cadaveri imbalsamati per esposizioni necrofile; i nostalgici dei roghi e della santa inquisizione… che si arrogano il diritto di decidere cosa sia “morale” e cosa invece no. Perché la morale, come diceva Oscar Wilde (guarda caso un omosessuale punito per “reati contro la morale”), è semplicemente l’atteggiamento che adottiamo nei confronti di individui che, personalmente, non ci piacciono.
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