Finalmente la Calabria è una regione sicura! Va da sé che, in uno dei territori a più alta densità criminale d’Europa, il problema fosse Mimmo Lucano, colpevole recidivo di umanità per lesa bestialità; protagonista involontario di uno dei più surreali processi kafkiani mai visti prima, che hanno condotto il plurincensurato ad una condanna grottesca.
A Domenico Lucano, ed ai suoi “complici”, per quella che probabilmente deve essere la più grande organizzazione criminale mai vista prima in Calabria, la Procura di Locri ha attribuito un’abbondante scodellata di reati contro la Pubblica Amministrazione, la “pubblica fede” ed il Patrimonio dello Stato, tramite l’apposita costituzione di un’associazione per delinquere finalizzata a “commettere un numero indeterminato di delitti”. Si tratta di un elenco necessariamente aperto nella sua indeterminazione, onde lasciare spazio a sempre nuovi reati, qualora alla Procura ne fosse scappato qualcuno nella sua sfilza infinita di accuse, da aggiungere alla quindicina di capi di imputazione (già vacillanti in sede cautelare): falso in atto pubblico e in certificato, falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale, turbativa d’asta, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, peculato, associazione a delinquere, abuso d’ufficio (relativo all’affidamento diretto del servizio di raccolta differenziata ad alcune cooperative del luogo), favoreggiamento dell’immigrazione clandestina finalizzato ad attrarre un illecito profitto derivante dalla gestione dei progetti legati all’accoglienza dei migranti. E l’inflessibile Tribunale di Locri di condanne gliene avrebbe rifilate almeno qualche altra dozzina, se non fosse stata limitata nella sua furia inquisitoria da un precedente “giudicato“ della Corte di Cassazione, che sostanzialmente rigettava gran parte dell’impianto accusatorio in assenza di “gravità indiziaria”: traffico di rifiuti (!), concussione aggravata, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per falsità commesse mediante il rilascio di documenti d’identità a non aventi diritto. Soprattutto, in Cassazione veniva respinta la frode nell’assegnazione delle concessioni. Pare che alla Procura di Locri l’abbiano quasi presa come uno sgarbo personale, visto che sono state ignorate anche le obiezioni dello stesso giudice istruttore, che pure aveva rigettato gran parte dei capi di imputazione a carico di Lucano, ritenendoli “tanto vaghi e generici, da essere inidonei a rappresentare una contestazione“. Pilastro dell’impianto accusatorio è una denuncia di tal Francesco Ruga, commerciante di Riace e curiosamente omonimo della ‘ndrina dei Ruga-Gallace che spadroneggia nella Locride. Il nostro eroe, diventato il teste fondamentale di accusa, era stato nel frattempo bollato come “inattendibile” dalla Cassazione che ne ha ravvisato le “contraddizioni plurime” nella sua deposizione, resa presso una quanto mai attenta Guardia di Finanza che aveva cominciato già da tempo ad ‘attenzionare’ il sindaco. Si tratta di una testimonianza che anche il magistrato per le indagini preliminari aveva trovato quanto mai tendenziosa e “viziata da forte astio personale” verso l’allora sindaco Lucano. Evidentemente, contro il parere della Cassazione e del suo stesso GIP, la Procura di Locri ha deciso diversamente, reputando forse di dover dare un “esempio” eclatante attraverso punizioni esemplari. E chissà che non sia stata imboccata in tale esemplarità dalle aspettative di ‘qualcuno’ in più alta sede, che molto s’è dato da fare in tal senso durante il suo mandato… Fatto sta, che Mimmo Lucano viene condannato alla pena abnorme di 13 anni e due mesi, il doppio rispetto alle richieste del Pubblico Ministero. Perché le pene vengono praticamente raddoppiate in giudizio a tutti i suoi collaboratori, imputati insieme a lui per l’incredibile associazione criminale volta all’accoglienza, attraverso un meccanismo giuridico come la somma delle pene edittali, nell’esclusione di tutte le attenuanti generiche; scelta che ha pochissimi precedenti nella giurisprudenza italiana, costituendo un caso più unico che raro, persino quando si tratta di delitti gravissimi contro la persona (omicidio, stupro, lesioni volontarie permanenti, tortura).
E certo la stessa severità non s’è vista, con chi i negri li prende a revolverate, come nella vicina Rosarno. Nel caso di reati contro la Pubblica Amministrazione, di solito il problema non si pone proprio… Per dire, Giuseppe Scopelliti, già presidente dimissionario della Regione Calabria, nonché ex sindaco di Reggio Calabria, per abuso d’ufficio e falso ideologico in atto pubblico, per gli illeciti ripetuti nella gestione e storno dei fondi comunali, insieme alle irregolarità di bilancio che hanno fatto collassare il Comune di Reggio Calabria sotto un voragine di 170 milioni di debito, è stato condannato nell’Aprile 2018 alla devastante pena di cinque anni e mezzo di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nel frattempo però il reato di abuso di ufficio viene prescritto e la pena scende a 4 anni e 7 mesi, mentre l’interdizione “perpetua” scende a 5 anni; visto che le pene fino a 4 anni non prevedono detenzione, il bravo Scopelliti può subito accedere alla semilibertà dopo sette mesi. In merito al danno erariale, il risarcimento per il buco di 170 milioni di euro è stato computato a 120.000 euro. Invece a Domenico Lucano, il Reprobo di Riace ed alla sua gang, la Procura ha richiesto la confisca di beni pari a oltre 700 mila euro, insieme al versamento di altri 531mila euro a titolo risarcitorio. A sua volta, il Ministero dell’Interno, in qualità di parte civile, ha ottenuto a titolo di risarcimento altri 200.000 euro. Si noti che nella richiesta originaria il Viminale aveva richiesto 10 milioni di euro dei quali due milioni a titolo provvisionale. Cioè oltre dieci volte tanto la cifra contestata nel reato di peculato (800.000 euro). Peculato assai curioso, visto che Lucano è povero in canna e lo stesso tribunale ha dovuto riconoscere (suo malgrado) che con la sua indefessa attività criminale Lucano non s’è arricchito e che (seppur male) i soldi li spendeva davvero per l’accoglienza, pasticciando con le rendicontazioni nell’erogazione dei fondi. Quindi, non trovando i soldi (e cadendo di fatto l’arricchimento illecito), gli zelanti PM sono subito corsi a cambiare l’impianto accusatorio, basandolo interamente sul gravissimo “movente politico”, volto alla costruzione di un sistema clientelare ramificato per il proprio “tornaconto elettorale” nella costruzione di consenso politico. In pratica Lucano faceva tutto ‘sto casino per farsi riconfermare sindaco di Riace; megalopoli di 1900 abitanti (minori inclusi), tra cui 470 stranieri residenti senza diritto di voto. In pratica, Mimmo Lucano coi suoi complici è un vero genio del crimine! Di “politico”, in tutta questa farsa giudiziaria a scopo punitivo-intimidatorio, è stato soprattutto il processo, per una sentenza annunciata su condanna preventiva, che non poteva (e assolutamente non doveva) essere diversa, affinché il messaggio arrivasse forte e chiaro. Probabilmente, Lucano avrebbe fatto molto meglio a fare il mafioso: gli avrebbero offerto un seggio in Parlamento e a quest’ora farebbe il sottosegretario di qualche ministero al Governo.