Ogni tanto, qualche anima bella si risveglia dal lungo letargo, laggiù nel bel mondo fatato dei sinistrati di corso liberale, per scoprire con somma meraviglia che i Fascisti d’Italia della bora platinata di Colle Oppio sono proprio fascisti!
E tale è la sorpresa, che c’è pure chi si fa prendere da una crisi isterica per questo; come se i modi, il linguaggio, le intenzioni e di conseguenza l’agire, non fossero esattamente quelli. O davvero credevano (poveri coglioni!) che una volta giunti al potere, i fascisti non avrebbero utilizzato le Istituzioni per piegarle ai loro fini, ridisegnandole a propria immagine e somiglianza; svuotando la democrazia dall’interno, per trasformarla in qualcosa di totalmente diverso ed a loro assai più prossimo?!
Ora i finti antifascisti da salotto si indignano perché la puffetta in orbace ed i suoi squadristi di contorno si sono finalmente cavati lo sfizio di infangare la memoria di Altiero Spinelli, minzionando sul “Manifesto di Ventotene” (così, giusto per sfregio, che tanto non leggono niente); come se per i fascisti fosse una novità marmaldeggiare sul cadavere dei loro nemici. Lo avevano già fatto con Giacomo Matteotti, quindi figuriamoci se si sarebbero risparmiati con Spinelli (ed Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni).
È che sono fatti così. È nella loro natura. Diversamente, non sarebbero fascisti. Per l’appunto! Anche se ci si ostina a chiamarli con ossimori diversi, un po’ per galateo, ma soprattutto per piaggeria, perché è sempre meglio tenerseli buoni. Tutto fa brodo infatti, pur di non usare il loro vero nome ed indicarli per quello che sono. Perché tali restano, anche se in pubblico non piace lo si ricordi, come del resto non manca di sbraitare l’onorevole Bignami (aspirante ras di Bologna): uno che si chiama Galeazzo (!) e che in privato festeggia coi camerati travestito da nazista, col buongusto che sempre ne contraddistingue le pose.
E adesso le stesse animelle belle si scandalizzano, perché un meme fascista in formato bonsai spruzza merda pure sul giovane Altiero Spinelli, agendo per ciò che in fondo altro non è: una capobanda.
Perché prima non lo sapevano chi era! Francamente, ci saremmo preoccupati (e tanto pure!) se la trucidissima Gnappetta nera le parole del Manifesto di Ventotene le avesse condivise, mentre ci sarebbe solo da ridere a sentire l’ingrugnita nipotina di Evola ed Almirante che da lezioni di democrazia e si riempie la boccuccia di “popolo” che affama, in un parlamento ridotto a bivacco per i suoi manipoli, almeno in questo coerentissima nel senso più “Gentile” del termine:
«Il fascismo è contro la democrazia che ragguaglia il popolo al maggior numero abbassandolo al livello dei più; ma è la forma più schietta di democrazia se il popolo è concepito, come dev’essere, qualitativamente e non quantitativamente, come l’idea più potente perché più morale, più coerente, più vera, che nel popolo si attua quale coscienza e volontà di pochi, anzi di Uno, e quale ideale tende ad attuarsi nella coscienza e volontà di tutti.»
Giovanni Gentile e Benito Mussolini
“La dottrina del fascismo”. 1932
Ed è lo stesso che in qualità di ghost writer parla per bocca dell’Uno che decide per tutti, in seno alla “nazione”:
«Regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in tanto, si dà al popolo l’illusione di essere sovrano, mentre la vera effettiva sovranità sta in altre forze talora irresponsabili e segrete. La democrazia è un regime senza re, ma con moltissimi re talora più esclusivi, tirannici e rovinosi che un solo re che sia tiranno. Questo spiega perché il fascismo, pur avendo prima del 1922 – per ragioni di contingenza – assunto un atteggiamento di tendenzialità repubblicana, vi rinunciò prima della marcia su Roma, convinto che la questione delle forme politiche di uno Stato non è, oggi, preminente e che studiando nel campionario delle monarchie passate e presenti, delle repubbliche passate e presenti, risulta che monarchia e repubblica non sono da giudicare sotto la specie dell’eternità, ma rappresentano forme nelle quali si estrinseca l’evoluzione politica, la storia, la tradizione, la psicologia di un determinato paese. Ora il fascismo supera l’antitesi monarchia-repubblica sulla quale si attardò il democraticismo, caricando la prima di tutte le insufficienze, e apologizzando l’ultima come regime di perfezione. Ora s’è visto che ci sono repubbliche intimamente reazionarie o assolutistiche, e monarchie che accolgono le più ardite esperienze politiche e sociali.
Il fascismo respinge nella democrazia l’assurda menzogna convenzionale dell’egualitarismo politico e l’abito dell’irresponsabilità collettiva e il mito della felicità e del progresso indefinito. Ma, se la democrazia può essere diversamente intesa, cioè se democrazia significa non respingere il popolo ai margini dello Stato, il fascismo poté da chi scrive essere definito una democrazia organizzata, centralizzata, autoritaria.
[…] È lo Stato che trascendendo il limite breve delle vite individuali rappresenta la coscienza immanente della nazione.
[…] L’individuo nello Stato fascista non è annullato, ma piuttosto moltiplicato, così come in un reggimento un soldato non è diminuito, ma moltiplicato per il numero dei suoi camerati. Lo Stato fascista organizza la nazione, ma lascia poi agli individui margini sufficienti; esso ha limitato le libertà inutili o nocive e ha conservato quelle essenziali.»Giovanni Gentile e Benito Mussolini
“La dottrina del fascismo”. 1932
Saranno anche trascorsi più di 90 anni, ma il secolo è stato breve ed il pensiero persiste, rinverdito com’è a freschissima attualità e prassi ordinaria di governo. E secondo voi questi potrebbero mai riconoscersi nel Manifesto di Ventotene? Ma che v’aspettavate?!?
Ah già! C’è davvero chi aveva creduto alla svolta costituzionale, dopo le abluzioni a Fiuggi e la coltivazione in vitro degli attuali “statisti”, nella greppia della Pornocrazia berlusconiana.
Ma il pensiero di Altiero Spinelli e dei giovani idealisti che redassero il Manifesto di Ventotene, intessuto del miglior socialismo democratico, era già stato tradito da tempo da quelle stesse vergini violate che ora si stracciano le vesti, in quel cosiddetto centrosinistra da tempo convertito alle leggi ferree del mercato e dell’oligarchia. Altrimenti non definirebbero affatto il messaggio come “datato”, quando invece dovrebbe essere attualissimo per chiunque si professi “socialista”, dove si parla di “solidarietà sociale”, preminenza del bene comune, smantellamento delle rendite di posizione e responsabilità sociale di impresa, dignità e tutela dei lavoratori attraverso i contratti collettivi, scuola pubblica ed emancipazione dallo stato di bisogno, per una riforma compiutamente democratica della società (il famigerato “partito rivoluzionario” che fa orrore alla statista mignon di Colle Oppio)…
1. Non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori (ad esempio le industrie elettriche); le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo, ma che per reggersi hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore ecc. (l’esempio più notevole di questo tipo di industrie sono in Italia ora le industrie siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi istituti bancari, industrie degli armamenti). È questo il campo in cui si dovrà procedere senz’altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti;
2. Le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà e il diritto di successione hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire, durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti parassitari e per dare ai lavoratori gli strumenti di produzione di cui abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e far loro raggiungere una maggiore indipendenza di vita. Pensiamo cioè ad una riforma agraria che, passando la terra a chi coltiva, aumenti enormemente il numero dei proprietari, e ad una riforma industriale che estenda la proprietà dei lavoratori, nei settori non statizzati, con le gestioni cooperative, l’azionariato operaio ecc.;
3. I giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare la possibilità effettiva di perseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà preparare, in ogni branca di studi per l’avviamento ai diversi mestieri e alla diverse attività liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla domanda del mercato, in modo che le rimunerazioni medie risultino poi pressappoco eguali, per tutte le categorie professionali, qualunque possano essere le divergenze tra le rimunerazioni nell’interno di ciascuna categoria, a seconda delle diverse capacità individuali;
4. La potenzialità quasi senza limiti della produzione in massa dei generi di prima necessità con la tecnica moderna permette ormai di assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il vitto, l’alloggio e il vestiario col minimo di conforto necessario per conservare la dignità umana. La solidarietà sociale verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica dovrà perciò manifestarsi non con le forme caritative, sempre avvilenti, e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori;
5. La liberazione delle classi lavoratrici può aver luogo solo realizzando le condizioni accennate nei punti precedenti: non lasciandole ricadere nella politica economica dei sindacati monopolistici, che trasportano semplicemente nel campo operaio i metodi sopraffattori caratteristici specialmente del grande capitale. I lavoratori debbono tornare a essere liberi di scegliere i fiduciari per trattare collettivamente le condizioni a cui intendono prestare la loro opera, e lo stato dovrà dare i mezzi giuridici per garantire l’osservanza dei patti conclusivi; ma tutte le tendenze monopolistiche potranno essere efficacemente combattute, una volta che saranno realizzate quelle trasformazioni sociali.
Questi sono i cambiamenti necessari per creare, intorno al nuovo ordine, un larghissimo strato di cittadini interessati al suo mantenimento e per dare alla vita politica una consolidata impronta di libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale. Su queste basi le libertà politiche potranno veramente avere un contenuto concreto e non solo formale per tutti, in quanto la massa dei cittadini avrà una indipendenza ed una conoscenza sufficiente per esercitare un efficace e continuo controllo sulla classe governante.
Sugli istituti costituzionali sarebbe superfluo soffermarci, poiché, non potendosi prevedere le condizioni in cui dovranno sorgere ed operare, non faremmo che ripetere quello che tutti già sanno sulla necessità di organi rappresentativi per la formazione delle leggi, dell’indipendenza della magistratura — che prenderà il posto dell’attuale — per l’applicazione imparziale delle leggi emanate, della libertà di stampa e di associazione, per illuminare l’opinione pubblica e dare a tutti i cittadini la possibilità di partecipare effettivamente alla vita dello Stato.
[…] Man mano che i democratici logorassero nelle loro logomachie la loro prima popolarità di assertori della libertà, mancando ogni seria rivoluzione politica e sociale, si andrebbero immancabilmente ricostituendo le istituzioni politiche pretotalitarie.Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni
“Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto”
Ovvio che questa non sia l’Europa (e l’Italia!) in cui potrebbe mai riconoscersi una come IL Presidente, donna, madre, e cristiana, con tutto il suo seguito plaudente. Poi parliamo pure di una tizia che salta di palo in frasca, sparando bordate a cazzo, senza che sia possibile trovarvi alcuna connessione logica, ma che alla gggente piace tanto.
Certo ai padri dell’Europa di ieri farebbe orrore la UE di oggi: uno spaventoso moloch tecnocratico e del tutto autoreferenziale; una gilda mercantile, convertita all’economia di guerra ed asservita alle grandi lobbies finanziarie, in un continente piagato dalle politiche di austerità, dove un convivio di streghe invasate dalla chioma ossigenata decide di stornare 800 miliardi dalla spesa sociale all’industria bellica per spezzare le reni alla Russia. Il tutto è ingabbiato in una struttura pletorica, affetta da elefantiasi burocratica, con una Commissione onnipervasiva, presieduta da un’inquietante Contessa cotonata (in pratica l’incarnazione di un conflitto di interessi ambulante).
È quella che gira con la bandiera dell’Ucraina cucita addosso e che pare la controfigura del Dracula di F.F.Coppola, mentre farnetica slogan che sembrano la parodia di un fumetto distopico.
E questo lascia ben intendere, come in realtà il famigerato Manifesto non l’abbiano letto nemmeno i sepolcri imbiancati dell’indignazione telecomandata da salotto.
Poi certo la dama in nero che estrapola due righe fuori contesto, tanto per bullizzare le opposizioni e poi scappare via alla chetichella, mentre mezzo parlamento le abbaia contro, si commenta da sola fino a qualificarsi per ciò che sembra: una insulsa coattella di borgata.
E intanto finge di non sapere che la metodologia e le considerazioni sono legate alla situazione politica e storica del 1941, in piena dittatura fascista con l’Italia trascinata in una guerra rovinosa al fianco di Adolf Hitler. Curioso che nello stesso anno circolasse un progetto alternativo, per un Nuovo Ordine europeo (Neuordnung) a cura della Germania nazista. Forse sarebbe stato più consono per le corde dei nipotini di Giorgio Almirante, il leader naturale della “generazione che non si è arresa”, rispetto al sovversivo Spinelli…
“Siamo fascisti, siamo il fascismo in movimento. Il fascismo non è il nostro passato, ma il nostro futuro!”
Giorgio Almirante
(06/09/1987)