“Classifica MARZO 2025”
Parola d’ordine: terrorizzali (e forse consumeranno di più).
Sono ormai tre anni che i nostri giornaloni da riporto padronale, con le loro squadre d’assalto di gazzettieri embedded (quelli che solitamente infestano l’infotainment serale, sparando cazzate a mitraglia), fanno i piazzisti di morte, cercando invano di prepararci alla guerra e convincerci quanto sia nobile e rigenerante crepare in battaglia, laggiù sul campo degli eroi dove volano alti i corvi, tanto non stanno più nella pelle all’idea possa scoppiare un bel conflitto su scala planetaria. E che probabilmente sarebbe anche l’ultimo.
Era dal 1914 che non si vedeva tanta attiva intraprendenza, da parte dei nostri pennivendoli, improvvisamente convertiti alla più trita retorica bellica, che così tanto sembra arraparli, mentre misurano chi ha il missile più lungo.
E peccato solo per il fatto che la guerra non faccia vendere più copie di quella sordida carta da pesce, in cui sono soliti magnificare mobilitazioni generali, sponsorizzando sistemi d’arma, sognando arruolamenti di massa e mobilitazioni generali, ipotizzando quali saranno i prossimi fronti di guerra e quali le prossime classi di riservisti da richiamare in caserma, mentre spiegano al volgo come sopravvivere all’armageddon nucleare e discettano di “pace giusta” (più che altro eterna), sperando la guerra vera non finisca mai.
All’idea della morte altrui, si eccitano troppo le truppe di boomers presenzialisti da palinsesto, dopo essersi ciucciati l’intera nazione e con essa il suo futuro. L’idea di trascinare al fronte un’intera generazione di giovani smidollati da rieducare alle virtù marziali, al rombo del cannone, evidentemente ne solletica le fantasie da stratega motivazionale. Che a desiderarla così tanto, a prepararla ed invocarla facendo finta di esorcizzarla, a cercare la “pace con la forza”, di provocazione in provazione, la guerra prima o poi (più prima che poi) alla fine scoppia sempre per davvero.
Che ormai siamo arrivati ai proclami futuristi ed alle liriche neo-papiniane…
«Finalmente è arrivato il giorno dell’ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente stanno pagando la decima dell’anime per la ripulitura della terra.
Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l’arsura dell’agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre; e una muraglia di svampate per i freschi di settembre.
E’ finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell’ipocrisia e della pacioseria. I fratelli sono sempre buoni ad ammazzare i fratelli! i civili son pronti a tornar selvaggi, gli uomini non rinnegano le madri belve.
Non si contentano più dell’omicidio al minuto.
Siamo troppi. La guerra è una operazione malthusiana. C’è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un’infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutar la vita.
Fra le tante migliaia di carogne abbracciate nella morte e non più diverse che nel colore dei panni, quanti saranno, non dico da piangere, ma da rammentare? Ci metterei la testa che non arrivano ai diti delle mani e dei piedi messi insieme. E codesta perdita, se non fosse anche un guadagno per la memoria, sarebbe a mille doppi compensata dalle tante centinaia di migliaia di antipatici, farabutti, idioti, odiosi, sfruttatori, disutili, bestioni e disgraziati che si son levati dal mondo in maniera spiccia, nobile, eroica e forse, per chi resta, vantaggiosa.
Non si rinfaccino. a uso di perorazione, le lacrime delle mamme. A cosa possono servire le madri, dopo una certa età, se non a piangere. E quando furono ingravidate non piansero: bisogna pagare anche il piacere. E chissà che qualcuna di quelle madri lacrimose non abbia maltrattato e maledetto il figliolo prima che i manifesti lo chiamassero al campo. Lasciamole piangere: dopo aver pianto si sta meglio.
Chi odia l’umanità – e come si può non odiarla anche compiangendola? – si trova in questi tempi nel suo centro di felicità. La guerra, colla sua ferocia, nello stesso tempo giustifica l’odio e lo consola. “Avevo ragione di non stimare gli uomini, e perciò son contento che ne spariscano parecchi”. La guerra, infine, giova all’agricoltura e alla modernità. I campi di battaglia rendono, per molti anni, assai più di prima senz’altra spesa di concio. Che bei cavoli mangeranno i francesi dove s’ammucchiarono i fanti tedeschi e che grasse patate si caveranno in Galizia quest’altro anno!
E il fuoco degli scorridori e il dirutarnento dei mortai fanno piazza pulita fra le vecchie case e le vecchie cose. Quei villaggi sudici che i soldatacci incendiarono saranno rifatti più belli e più igienici. E rimarranno anche troppe cattedrali gotiche e troppe chiese e troppe biblioteche e troppi castelli per gli abbrutimenti e i rapimenti e i rompimenti dei viaggiatori e dei professori. Dopo il passo dei barbari nasce un’arte nuova fra le rovine e ogni guerra di sterminio mette capo a una moda diversa. Ci sarà sempre da fare per tutti se la voglia di creare verrà, come sempre, eccitata e ringagliardita dalla distruzione.
Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. La guerra è spaventosa – e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi.»“Amiamo la guerra”
Giovanni Papini
(01/10/1914)