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Aggredito e Aggressore

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Gaza come un Ghetto popolato da animali umani. Un tempo si sarebbe detto Untermenschen, subumani: una massa anonima ed indistinta, da punire collettivamente, senza troppe distinzioni; oppure (meglio ancora!) da abbattere impunemente.
A parti ribaltate, è incredibile dove possa condurre la cinica ironia dei corsi e ricorsi della Storia.
Si aggiunga il di più di una miscela mefitica di messianismo ed esclusivismo etnico-religioso, insieme ad un certo pionierismo da frontiera di fine ‘800 che ricorda molto le Guerre indiane e la conquista del West (sarà un caso che molti coloni provengano dagli USA?). Nel senso che arrivo; esproprio le terre, ricorrendo a tutta una serie di abusi legali, o direttamente con la forza, cacciando via a fucilate chi ci abitava prima. Infine, chiudo i selvaggi in “riserve” prive di risorse, accerchiate dai soldati pronti ad annientare gli insorti in caso di rivolta. Tutto il resto è conseguenza…
Circa 165.000 edifici distrutti o danneggiati, ovvero il 42% delle abitazioni nella Striscia di Gaza. Bombardati almeno 11 luoghi di culto tra chiese e moschee. Colpite strutture ospedaliere ed infrastrutture civili. Distrutta l’Università Islamica di Gaza e con esso l’intero complesso universitario del campus di Al-Zahra, dove si trovavano le Facoltà di Medicina e Chirurgia, insieme all’Ospedale turco. Colpite anche 318 strutture educative, tra cui 20 scuole UNRWA, due delle quali utilizzate come rifugi temporanei e 140 scuole amministrate dall’Autorità palestinese. Più di 150 attacchi a strutture mediche e di protezione umanitaria internazionale.
Un’intera metropoli cinta d’assedio e cannoneggiata senza sosta, con taglio delle forniture idriche, energetiche, ed alimentari. Ordine di evacuazione per due milioni e mezzo di persone (ospedali inclusi), con ultimatum di 24 ore, per mettersi in marcia verso il nulla e senza niente in pieno deserto del Sinai.
Bombardamento del mercato ortofrutticolo di Jabalya, dove si ammassavano gli sfollati, per cercare di comprare qualcosa da mangiare.
Convogli di profughi che secondo i nostri (in)degni giornaloni esplodono misteriosamente da soli durante la “transumanza” sulla Salah al-Din Road: l’unico percorso “sicuro” che Tsahal ha concesso ai deportati.
Interi quartieri residenziali che si afflosciano su se stessi.
Un morto ogni 500 abitanti; intere famiglie cancellate dai registri anagrafici e migliaia di altre scacciate via, in un’enorme operazione di pulizia etnica a cielo aperto su scala massiva, nella totale indifferenza delle cancellerie europee, che evidentemente trovano la cosa normalissima, dinanzi ad un’estensione allargata della Dottrina Dahiya su riproposizione dell’antico Piano Dalet.
Per Israele è il suo 11 Settembre, perciò vale tutto. E del resto si tratta di uno stato che ha sempre agito al di fuori, o in contrasto con le norme del diritto internazionale.

Per i palestinesi è solo una mattanza come un’altra, nella compiaciuta ipocrisia occidentale. Perché se gli israeliani hanno il diritto di “difendersi”, certamente i palestinesi hanno il dovere di crepare, possibilmente in silenzio per non disturbare troppo. D’altra parte, si tratta di non persone alle quali puoi fare qualsiasi cosa, nella certezza di non doverne mai rispondere, salvo raccattare qualche spicciolo e cerotti a fine massacro, per lavare via il sangue dalla cattiva coscienza delle cancellerie europee, servilmente allineate alle direttive d’Oltroceano come si conviene a quei protettorati coloniali, privi di una qualunque politica estera indipendente.
Al massimo, si raccomanda moderazione nella metodica opera di distruzione e sterminio, mentre si arma il carnefice, perché non tutte le “operazioni speciali” sono uguali, così come cambia la percezione dei crimini di guerra a seconda di chi li commette. Non per niente, al regime di Tel Aviv si perdona tutto, a prescindere, in uno stato d’eccezione permanente che a sua volta implica un più ampio esperimento sociale su abbozzo embrionale…
Va da sé che per i palestinesi non c’è, né ci sarà mai un giudice a Berlino; meno che mai all’Aia, con la sua sedicente corte penale di giustizia internazionale: pletorico tribunale politico ad usum imperii, così solerte nello spiccare mandati di cattura internazionali per crimini altrui (veri o presunti non importa; non conta l’onere della prova, ma lo schieramento di appartenenza), mentre è sempre pronta a condonare (e non vedere) quelli pro domo sua, seconda la prassi collaudata del doppio standard.
Ed è assai più facile reprimere un popolo che non abbia uno stato, che lo rappresenti negli organismi internazionali. Non per niente, gli unici paesi che non hanno mai riconosciuto la Palestina come entità sovrana aderiscono tutti al blocco NATO. salvo riempirsi in pubblico la bocca con la soluzione dei “due popoli, due stati”, che nei fatti sono però i primi a rigettare. Sarà un caso?!
Quello che un tempo alla nostra diplomazia (almeno fintanto che ne abbiamo avuto una, prima di diventare una protuberanza coloniale del DOS) era chiarissimo nella sua evidenza, oggi è dissimulato, negato, o semplicemente ignorato da un intero apparato di stati clienti stretti a forza attorno ad un impero in crisi di identità, che persegue la guerra di esportazione come forma di sopravvivenza. Ed ogni conflitto bellico è sempre motivato dalle più nobili intenzioni, nonché dalle più grandi mistificazioni.

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