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Il Fattore K

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“Solo una nazione in profondo disordine spirituale e psicologico poteva onorare un uomo con tanto sangue sulle mani come Henry Kissinger.”

Fred Branfman
(Wanted. 18/05/2001)

Pochi personaggi del secondo ‘900 hanno incarnato più di ogni altra rappresentazione icastica la banalità del male, come nel caso di Henry Kissinger. Protagonista più discutibile che indiscusso di oltre mezzo secolo di politica estera statunitense, ne è stato soprattutto l’anima nera, celata dietro l’aspetto dimesso e pasciuto di un ometto dall’apparenza insignificante, nel solco della più cinica e spregiudicata realpolitik, insieme ad una passione viscerale per il potere vissuto come un afrodisiaco.
Nel corso della sua lunga carriera, trascorsa a sussurrare nell’orecchio dei Potus e puntellare l’egemonia imperiale della “nazione indispensabile” nella carne viva dei popoli, non c’è stato colpo di stato, cospirazione politica, guerra, golpe militare, in cui Kissinger non sia stato ispiratore, per niente occulto o direttamente coinvolto, a dimostrazione che i regimi dittatoriali sono di preferenza la forma migliore di tutela per gli interessi americani nel mondo. Allo stesso modo, l’omicidio politico all’occorrenza costituisce un convincente strumento ‘diplomatico’ di appeasement su allineamento strategico, senza mai a temere di doverne rispondere.
Se Henry Kissinger avesse agito in qualsiasi altra parte sbagliata del pianeta, sarebbe stato universalmente biasimato (e perseguito) come un criminale internazionale, specializzato nell’omicidio di massa per indiretta procura. Perché quelli come lui non si sporcano mai le mani di persona, delegando le pratiche più infami a boia di fiducia. Si tratta di uno di quei freddi tecnocrati, organici ad un Potere immanente ed inebriante fino all’intossicazione, che perseguono scientemente il Male convinti di favorire il Bene. E che ovviamente la fanno sempre franca, dall’alto dei loro uffici.
Il fatto è che con i suoi 100 anni Kissinger ha vissuto troppo: abbastanza per essere dimenticato dai più giovani e risultare ingombrante per tutti gli altri, col suo carico di scheletri nell’armadio ed i milioni di morti di operazioni scellerate, da seppellire in tutta fretta insieme alla salma nell’oblio della memoria.
Se Jack the Ripper è stato il precursore del XX secolo, Henry Kissinger ha tracciato il corso del XXI, facendosi il miglior interprete di una nuova tipologia di burocrate disfunzionale, che si mette a disposizione della ragion di stato per porsene al di sopra. Perché coi veleni del Fattore K dovremo convivere ancora a lungo…
Ci piace chiudere con le parole più che evocative di Fred Branfman, nella definizione del fenomeno:

«È quasi banale notare la banalità di Kissinger. Ma la sua miscela unica di vacuità e celebrità, potere e amoralità, mistica e mancanza di principi, lo ha reso una delle figure per eccellenza del secondo dopoguerra.
In passato avevamo più da temere dai tiranni carismatici. Oggi sono i tecnocrati, i “tipi leggeri” che gestiscono in modo efficiente il nostro governo e dominano la nostra epoca.
[…] Con il suo impareggiabile talento per gli intrighi burocratici e la manipolazione dei media, Henry Kissinger è stato tra i primi di questi tipi a raggiungere il potere nel mondo del dopoguerra.
Non sarà l’ultimo

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