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Un noto antisemita polacco, Raphael Lemkin, ne ebbe a scrivere di buone, quando nel lontano 1945 si prese la briga di inventare il termine “genocidio”, nel tentativo di fornire una qualificazione giuridica per definizione del reato, dinanzi all’omicidio di massa perpetrato in forma capillare ed organizzata su distruzione mirata sotto la supervisione di un attore statale ben definito.

«Il termine non significa necessariamente uccisione di massa, ma questa può essere una delle sue accezioni. Più spesso, si riferisce a un piano coordinato volto alla distruzione delle fondamenta essenziali della vita dei gruppi nazionali, affinché tali gruppi avvizziscano e muoiano come piante colpite dalla peronospora. Il fine potrebbe essere raggiunto mediante la disintegrazione forzata delle istituzioni politiche e sociali, della cultura del popolo, della sua lingua, dei suoi sentimenti nazionali e della sua religione. Potrebbe altresì essere raggiunto cancellando ogni base di sicurezza personale, libertà, salute e dignità. Quando questi mezzi falliscono, la mitragliatrice può sempre essere utilizzata come ultima risorsa. Il genocidio viene perpetrato contro un gruppo nazionale come entità e l’attacco alle persone è solo secondario all’annientamento del gruppo nazionale cui appartengono

Raphael Lemkin
Free World“, Vol. 4
(Aprile 1945)

Questo perché “il genocidio è diretto contro il gruppo nazionale come entità, e le azioni coinvolte sono dirette contro gli individui, non a titolo individuale”, bensì contro i membri di uno specifico gruppo etnico di riferimento, volto a sradicarne innanzitutto l’identità attraverso la sua rimozione o distruzione fisica, con tutte le implicazioni internazionali che questo comporta:

«Perché il genocidio dovrebbe essere riconosciuto come problema internazionale? Perché non trattarlo come un problema interno di ogni Paese, se commesso in tempi di pace, o come un problema fra belligeranti, se commesso in tempi di guerra?
Le pratiche del genocidio colpiscono ovunque gli interessi vitali di tutti i popoli civilizzati. Le sue conseguenze non possono essere né isolate né localizzate. Tollerare il genocidio è un’ammissione del principio secondo cui un gruppo nazionale ha il diritto di attaccarne un altro a causa della sua presunta superiorità razziale. Tale principio esorta a espandere tali pratiche al di là dei confini dello Stato colpevole e questo significa guerre di aggressione.
La malattia della criminalità, se non tenuta sotto controllo, è contagiosa. In tutti i Paesi esistono minoranze di qualche tipo, tutelate dall’ordine costituzionale dello Stato. Se viene tollerata ovunque la persecuzione di qualsiasi minoranza da parte di un Paese qualsiasi, possono essere minate le basi morali e giuridiche stesse del governo costituzionale.
[…] Si crea una fonte di attrito internazionale a causa della privazione unilaterale dei diritti dei cittadini e persino dell’espulsione di interi gruppi minoritari verso altri Paesi.
[…] Inoltre, le persecuzioni di massa costringono alla fuga di massa. È così che la normale migrazione tra Paesi assume dimensioni patologiche

In prospettiva, niente favorisce di più la pratica genocidaria di un conflitto bellico, soprattutto quando la pratica in questione non è conseguenza dell’incrudelirsi della guerra, ma rientra tra le finalità originarie della stessa.
Da lì, la necessità di premunirsi degli strumenti giuridici (e degli organi giurisdizionali) per perseguire quello che si configura, per estensione ed implicazioni, come un crimine universale, estendendo il procedimento legale contro gli artefici dello stesso.

«Un regime spietato trova più facile commettere un genocidio in tempo di guerra. Diventa allora un problema il trattamento, o, meglio, il maltrattamento, di una popolazione civile da parte di un occupante. La Quarta Convenzione dell’Aia istituisce uno Stato di diritto nella protezione delle popolazioni civili che un occupante deve rispettare. Nell’ambito di applicazione di questa legge rientra la protezione del onore, libertà, vita, diritti familiari e diritti di proprietà della popolazione nel paese occupato.
Il genocidio può essere perpetrato attraverso atti contro individui, quando l’intento ultimo è quello di annientare l’intero gruppo composto da questi individui; ogni specifico atto di genocidio diretto contro individui in quanto membri di un gruppo nazionale o razziale è illegale ai sensi della Convenzione dell’Aia….. L’intento criminale Uccidere o distruggere tutti i membri di un tale gruppo mostra premeditazione deliberazione e uno stato di criminalità sistematica che è solo un circostanza aggravante per la pena.
[…] Attacchi contro tali gruppi violano tale diritto di esistere e di svilupparsi una comunità internazionale come membri liberi della società internazionale. Così Il genocidio non è solo un crimine contro le regole della guerra, ma anche un crimine contro l’umanità

Raphael Lemkin
“American Scholar”, Volume 15, n. 2 (Aprile 1946)

Sicché, nelle intenzioni originali di Lemkin,

«La responsabilità per genocidio dovrebbe dipendere da coloro che hanno dato ed eseguito gli ordini, così come coloro che incitavano a commettere il crimine con qualsiasi mezzo, compresa la formulazione e l’insegnamento della filosofia criminale del genocidio. Membri di organi governativi e politici che hanno organizzato o tollerato il genocidio sarà ugualmente responsabile.
Indipendentemente dalla responsabilità degli individui per il genocidio, gli Stati in cui tale politica si applica dovrebbero essere chiamato a rispondere dinanzi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite Organizzazione. Il Consiglio può chiedere alla Corte internazionale di giustizia di formulare un parere consultivo per determinare se uno stato di genocidio all’interno di un determinato paese prima di invocare, tra l’altro, sanzioni da rivolgere contro il paese incriminato. Il Consiglio di Sicurezza può agire di propria iniziativa o sulla base delle petizioni presentate da membri di gruppi nazionali, religiosi o razziali interessati residenti all’interno o all’esterno del paese accusato.
La convenzione dell’Aia e altri trattati pertinenti dovrebbero essere modificati in modo che, nel caso in cui di guerra, un organismo internazionale (come la Croce Rossa Internazionale) dovrebbe avere il diritto di supervisionare il trattamento delle popolazioni civili da parte degli occupanti in tempo di guerra, al fine di accertare se il genocidio sia praticato da tale occupante

Raphael Lemkin
“American Scholar”, Volume 15, n. 2 (aprile 1946)

Dunque vediamo… nella sua formulazione del concetto di genocidio, Raphael Lemkin considera corresponsabile l’entità statale che ha reso possibile la perpetuazione del crimine contro l’umanità, tramite atti concreti nell’ambito delle politiche di governo, lasciando intendere per implicito che senza una copertura governativa e statale semplicemente sarebbe impossibile per singoli individui esercitare la pratica su scala massiva. E questo alla faccia delle immunità di cui godrebbe l’Innominabile coi suoi uomini in nero e l’esercito più morale del mondo in missione per conto di dio).
E che già il fatto di impedire ad organismi internazionali di accedere nelle aree occupate e nelle zone di guerra, per accertarsi delle condizioni della popolazione civile, implicherebbe di per sé il sospetto di un intento genocidario.
Figuriamoci cosa avrebbe pensato il povero Lemkin, se avesse saputo che agli organi di assistenza umanitaria non solo non sarebbe stato permesso l’ingresso nelle zone occupate, ma sarebbero state considerate esse stesse obiettivi militari, con la loro messa al bando e la sistematica distruzione delle loro infrastrutture in loco, insieme all’uso della fame come arma di guerra, come già insegnava a suo tempo il buon Gerd von Rundstedt, feldmaresciallo del Reich.

Uno dei grandi errori del 1918 è stato quello di risparmiare la vita civile dei paesi nemici, sicché è necessario per noi tedeschi essere sempre almeno il doppio dei numeri dei popoli dei paesi contigui. Siamo quindi obbligati a distruggere almeno un terzo dei loro abitanti. Il miglior mezzo per raggiungere tale scopo è la denutrizione organizzata, che in questo caso è assai più efficace delle mitragliatrici.”

Karl Rudolf Gerd von Rundstedt
(Berlino, 1943)

E d’altronde, come ebbe a riconoscere un ispirato caporale austriaco, a beneficio della condotta di guerra di una nazione in armi:

 “Il vecchio Reich sapeva già come agire con fermezza nelle zone occupate. È così che i tentativi di sabotaggio delle ferrovie in Belgio furono puniti dal conte von der Goltz. Fece incendiare tutti i villaggi nel raggio di alcuni chilometri, dopo aver fucilato tutti i sindaci, imprigionato gli uomini e deportato le donne coi bambini.”

Adolf Hitler, 1941

Nella sua elaborazione degli aspetti alla base di una efficace azione genocidaria, Lemkin elabora quelle che sono le tecniche del genocidio, che investono gli aspetti di un popolo, di una comunità nazionale, o di un gruppo etnico nella sua interezza:
Dalla dimensione politica, indebolendo “la coesione politica dei Paesi conquistati dividendoli in zone più o meno autosufficienti ed ermeticamente chiuse”, oppure staccandone i territori da annettere o creando confini artificiali per impedire la comunicazione e l’assistenza reciproca dei gruppi nazionali coinvolti
Alla totale destrutturazione del loro tessuto sociale, stravolgendone la stuttura ed impedendo così la costituzione di una eventuale leadership futura, disarticolandone lo sviluppo culturale nella negazione di una identità riconosciuta, tramite umiliazione.
Ovviamente, affinché ciò sia più incisivo è fondamentale distruggere ogni potenziale economico del gruppo che si intende annichilire, riducendolo ad uno stato di bisogno permanente.

“Lo scopo genocida di distruggere o deteriorare le fondamenta economiche dei gruppi nazionali era quello di ridurre il tenore di vita e acuire la lotta per l’esistenza, affinché non rimanessero energie da dedicare a una vita culturale o nazionale.”

La pratica eliminazionista su annientamento fisico ne costituisce solo un aspetto successivo, pur essendo il più rilevante nella sua evidenza e gravità:

«La politica genocida aveva obiettivi tanto lungimiranti quanto immediati. Da un lato sosteneva l’incremento della natalità, legittima o illegittima, all’interno della Germania e tra i Volksdeutsche nei Paesi occupati. Venivano offerti sussidi per i figli nati da militari tedeschi e donne di sangue affine, come olandesi e norvegesi. D’altro canto, veniva utilizzato qualsiasi mezzo per ridurre il tasso di natalità fra le “razze inferiori”. Milioni di prigionieri di guerra e uomini costretti ai lavori forzati di tutti i Paesi europei conquistati vennero tenuti lontani dalle rispettive mogli. I polacchi nella Polonia annessa venivano ostacolati se cercavano di sposarsi tra di loro. La denutrizione cronica, creata deliberatamente dall’occupazione, tendeva non soltanto a scoraggiare la natalità ma anche a incrementare la mortalità infantile.
La tecnica più diretta e drastica fra quelle utilizzate nell’ambito del genocidio è semplicemente l’omicidio. Può essere il lento e scientifico assassinio, facendo morire di fame le masse, oppure il rapido ma non meno scientifico assassinio per sterminio di massa in camere a gas, esecuzione sommaria o esposizione a malattie e sfinimento

Il riferimento è alla Germania nazista, ma vale benissimo anche per l’oggi nell’unica democrazia del Medioriente (!).
Poi trovate voi le analogie e giudicate.

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