Che l’Europa non esista, i nostri padroni d’Oltreoceano l’hanno sempre saputo, tanto da considerare come un fatto consolidato ciò che costituisce un’evidenza oggettiva. E certe letture non invecchiano.
Al massimo, dall’altra parte dell’Atlantico guardavano con divertita indulgenza alle velleità dei bombastici nani europei. Tuttavia, valutavano anche di una qualche utilità il progetto comunitario, fintanto che si sarebbe dimostrato funzionale agli interessi geostrategici dell’Egemone, in una logica di alleggerimento e disimpegno, pur continuando a dettarne gli obiettivi e condizionarne le linee di condotta a distanza.
Cosa che evidentemente oggi non è più. Almeno fintanto vigerà il nuovo corso trumpiano, tra tecnofascismo e affarismo paramafioso, che si preoccupa solo di ottimizzare l’incasso e stravolge le forme (la sostanza era la stessa), brandendo come una clava la Big Stick diplomacy di rooseveltiana memoria (Theodore), mentre le cannoniere scaldano i motori. Poi tenere il passo con tutte le minchiate, che il vulcanico bullo ottuagenario va sparando a ciclo continuo con cadenza quotidiana, è tutta un’altra cosa!
A livello economico, la fiducia degli USA nel progetto europeo non è mai andata oltre quella che si accorda ad un junior partner, associato in partecipazione.
Sul piano militare, è lecito credere la considerazione non sia tanto diversa, da quella che la Respublica romana accordava alle varie leghe confederate dell’Ellade antica, con la benevolenza che si può riservare ai governi fantoccio di stati clienti.
Nella pratica, si tratta dei soci di minoranza di una holding controllata, anche se agli europei piace immaginarsi “alleati” alla pari, e non sudditi coloniali di una delle tante province transmarine dell’Impero.
Semplicemente, con il secondo avvento di Trump, quella che era una finzione condivisa è venuta meno. Da lì, le reazioni isteriche degli orfani di guerra, che ora si ritrovano col cerino in mano del conflitto russo-ucraino, senza nessun piano realistico ed estromessi da ogni trattativa negoziale, dopo essere stati trascinati dentro una guerra per procura che ha annichilito l’economia europea, mentre gli USA di Trump e la Russia di Putin si dividono le spoglie, accollando agli europei i debiti ed il mantenimento di una cleptocrazia fallita (la famosa democrazia ucraina).
Sarà per questo che quando i “Grandi” si riuniscono per spartirsi il resto del mondo più o meno ‘libero’, gli “statisti” europei sono relegati in disparte al tavolo dei bambini. Ed è già tanto che non vengano chiamati a servire ai tavoli, in livrea da camerieri e camicia rigorosamente nera, nel ruolo più confacente alla parte: SERVI!
Al massimo, per Padron Sam ai tempi della sua miglior predisposizione d’animo, la sedicente “unione europea”, relegata in posizione assolutamente ancillare agli interessi americani, poteva costituire una sorta di ufficio politico subordinato alla NATO, speculare all’efficientamento dei capitolati di spesa ed alle forniture militari (con l’acquisto di massicce commesse belliche di produzione statunitensi), al coordinamento tattico più ancora che strategico, e all’implementazione economica, per uno sbocco privilegiato delle merci USA, su un mercato unificato di ricchi consumatori.
Non è affatto un caso che l’allargamento della UE, fino all’acromegalia che ne ha prodotto la paralisi dei processi gestionali e della ripartizione delle risorse, stravolgendo il senso stesso della “Comunità” originaria, sia coinciso con l’espansione militare della NATO, come conseguenza automatica dell’estensione di quest’ultima.
È la NATO (e dunque gli USA che la controllano) a dettare la linea, mentre la UE è chiamata a protocollarne le decisioni, conferendovi una cornice politica integrata nei “processi comunitari”, salvo lasciare che l’Alleanza atlantica condizioni l’azione e financo l’impianto dell’esperimento europeo. Ciò costituisce il tratto distintivo su processo codificato di una sudditanza militare. Emblematiche sono le tappe dell’espansione ad Est (con la nefasta infornata dei baltici):
Repubblica Ceca (12/03/1999 NATO – 01/05/2004 UE)
Ungheria (12/03/1999 NATO – 01/05/2004 UE)
Polonia (12/03/1999 NATO – 01/05/2004 UE)
Estonia (29/03/2004 NATO – 01/05/2004 UE)
Lettonia (29/03/2004 NATO – 01/05/2004 UE)
Lituania (29/03/2004 NATO – 01/05/2004 UE)
Slovacchia (29/03/2004 NATO – 01/05/2004 UE)
Slovenia (29/03/2004 NATO – 01/04/2004 UE)
Bulgaria (29/03/2004 NATO – 01/01/2007 UE)
Romania (29/03/2004 NATO – 01/01/2007 UE)
Ne consegue che è la NATO (in funzione militare sotto diretto controllo statunitense) a dettare l’agenda UE e non viceversa, in un processo di fagocitazione progressiva che ha fatto assurgere l’Alleanza (espressione del nostro servaggio militare) a fonte stessa del diritto comunitario, sempre meno indiretta e sempre più primaria, fino all’elevazione dell’atlantismo a stella polare della stessa identità europea, quale prova più evidente e compiuta di vassallaggio neo-coloniale.
Che poi qualcuno possa davvero credere che gli USA siano pronti ad immolare i propri soldati, per entità statali che non saprebbero nemmeno indicare sulla carta geografica, come la Macedonia del Nord, o per la difesa della Penisola di Neringa nella Curlandia lituana, o la Livonia lettone, scatenando la terza guerra mondiale, rientra in quelle distorsioni cognitive, alle quali soltanto gli imbecilli più invasati della propaganda atlantista possono credere. Se i Balcani interi non valevano le ossa di un solo granatiere della Pomerania, figuriamoci se la Karelia o la Samogizia possano valere l’unghia di un marine dell’Alabama!
Spostando l’asse della UE sempre più ad Est, si è finito per stravolgerne completamente l’assetto istituzionale originario e finanche la scala delle priorità, insieme a quelli che avrebbero dovuto essere sul piano ideale i suoi valori fondativi, snaturandone l’identità stessa. Con lo spostamento del suo epicentro nella periferia nord-orientale dell’Europa, la UE sembra aver introiettato a livello esiziale le paranoie degli ex satelliti sovietici, con tutto il loro revanchismo anti-russo ed uno sciovinismo tanto esasperato quanto oltranzista, di chi usa la sedicente “casa europea” (ed i suoi parenti serpenti), come una riserva strategica per trascinare il resto del continente in una riedizione delle Guerre del Nord; molto meglio se con fondi e soprattutto soldati altrui.
Sarà per questo che abbiamo un’allucinata Kaja Kallas a vicepresidente esecutiva della Commissione europea, nonché alto rappresentante dell’Unione “per gli affari esteri e la politica di sicurezza”, che scalpita per entrare in guerra aperta con la Russia, dal fondo della sua minuscola Estonia: 1.347.000 abitanti (dei quali il 25% di etnia russa), un formidabile esercito di ben 7700 effettivi (metà dei quali soldati di leva) ed un PIL inferiore a quello dell’Abruzzo.
A farle il paio (ed il palo), c’è l’inquietante Andrius Kubilius, commissario europeo per la Difesa, dalla Lituania con furore. Questo è uno che chiede di stanziare 100 miliardi di euro annuali, per “prepararsi alla guerra” ormai data come inevitabile. E lo fa sulla scia dirompente di una gigantesca armata di 16.000 soldati (1/3 dei quali riservisti in congedo). Tale è lo straordinario contributo militare dell’ennesima superpotenza baltica.
È che fremono proprio per entrarci (e farci entrare) in guerra il prima possibile!
Ciliegina esplosiva finale: Valdis Dombrovskis, il falco
ultrarigorista della Lettonia, quello ossessionato dall’Italia e dal suo debito, e che però non ne disdegna i contributi economici, visto che l’Italia contribuisce abbondantemente a finanziare i 197 milioni di euro di fondi comunitari, coi quali la UE ingrassa la Lettonia e ne tiene in piedi l’economia, con un PIL nominale che è la metà di quello della Sicilia.
Sono questi ed altri orrori ai quali ci ha ormai abituati l’orripilante Commissione a guida Ursula Von der Leyen, ad eterno disonore e vergogna dei partiti “progressisti” che reggono il moccolo a questa compagine reazionaria di politici falliti di quarto ordine ed ex banchieri della turbofinanza, convertiti all’economia di guerra e rinvigoriti dalle fregole guerrafondaie.
Intendiamoci, la UE ha sempre costituito un comodo parcheggio profumatamente retribuito, per trombati di lusso, ex premier in ritiro e ministri dimissionati. Quindi non deve affatto meravigliare come la ex portaborse di Angela Merkel, con un’esperienza fallimentare in qualità di ministro tedesco della Difesa, si sia prontamente riciclata nella burocrazia UE. Come sia potuta invece diventare presidente della Commissione europea (per giunta su due mandati!) resta invece uno di quei misteri che sfidano la logica e stuprano ogni decenza, se mai ne fosse rimasta alcuna.
In Germania, resta proverbiale la sua conduzione del dicastero della Difesa a gestione personale, quando nel 2019 si distinse per le consulenze strapagate ad agenzie private ed affidate direttamente ad una cricca di affaristi amici suoi, senza gara pubblica: 155 milioni di euro spesi in consulenze esterne e contratti più che opachi, con appalti gonfiati e costi lievitati in deroga ad ogni procedura, per una gestione unanimemente considerata pessima.
In pratica un piccolo assaggio di ciò che sarebbe stata la gestione dell’emergenza COVID, coi contratti capestro per la fornitura dei vaccini, accordati a PFIZER dopo il disastro AstraZeneca.
«Unico membro delle amministrazioni di Angela Merkel a essere ininterrottamente al governo dal 2005, Von Der Leyen in patria non è per niente amata (…) A oscurare la stella di colei che era stata considerata a lungo la delfina della cancelliera è la sequela di scandali ed errori collezionati da ministro della Difesa, incarico che ha ricoperto dal 2013.
(…) Se Donald Trump ha più volte attaccato la Germania per lo scarso contributo alla Nato, ha le sue buone ragioni. Nel 2018 Berlino aveva stanziato per la Difesa l’1,2% del Pil (dati Sipri), contro, ad esempio, l’1,7% dell’Italia. Si parla comunque di quasi quaranta miliardi di euro, non una cifra irrisoria. Ma insufficiente o, più probabile, non allocata in maniera adeguata, concentrata com’è quasi tutta sulle forze di terra. La Marina tedesca ha infatti dimensioni piuttosto limitate: 65 navi, un numero lontano non solo dalle circa 180 imbarcazioni militari messe in campo da Francia e Italia ma anche dal centinaio scarso di Spagna e Grecia.
(…) Ars Technica una anno fa un aveva snocciolato dati impietosi: le fregate della nuova classe F-125 non erano state consegnate perché solo 5 su 13 avevano superato il collaudo in mare. E i sommergibili eredi dei temibili U-Boot? L’ultimo che era rimasto in servizio era stato ritirato per riparazioni. Gli altri erano tutti in attesa dei pezzi di ricambio.
La situazione dell’aeronautica risultava altrettanto preoccupante. Su 109 aerei da combattimento Typhoon a disposizione, nel 2015 solo 42 risultavano pronti all’impiego a causa dei problemi di manutenzione. Su 89 bombardieri Tornado, appena 38 erano operativi. Per quanto riguarda gli elicotteri, la situazione non migliora: solo 12 dei 62 Tiger e 16 dei 72 CH-53 potevano essere utilizzati per le esercitazioni. Un destino ironico per un Paese che fu vicino a conquistare l’intera Europa proprio grazie all’uso letale e innovativo dell’aviazione da guerra.
Aveva fatto il giro del mondo la notizia secondo la quale, durante un’esercitazione Nato avvenuta nel settembre 2017 in Norvegia, gli effettivi del Panzergrenadierbataillon 371 si ritrovarono senza abbastanza armi. Mancavano il 31% dei fucili necessari, il 41% delle pistole e ben tre quarti dei visori notturni richiesti. I soldati furono costretti a dipingere dei manici di scopa di nero e attaccarli ai blindati Boxer perché almeno visivamente dessero l’idea. Un portavoce del ministero della Difesa teutonico ammise di aver ricevuto segnalazioni a riguardo dal battaglione e affermò candidamente di non avere alcuna spiegazione per un episodio tutt’altro che isolato.
Nel 2014, riporta il Telegraph, le forze speciali del Kommando Spezialkrafte dovettero ritirarsi imbarazzati da un’altra esercitazione Nato perché non gli era stato fornito un elicottero. Von Der Leyen fu costretta a dichiarare che Berlino non poteva rispettare i suoi impegni con l’Alleanza Atlantica a causa di una carenza di mezzi i cui effetti si stavano colorando di comicità involontaria.
In numerose caserme, per esempio, le autoblinde mancanti per le esercitazioni erano state sostituite da banali Mercedes Vito. Il ministro promise di correre ai ripari. Quattro anni dopo, il budget militare tedesco era sceso ulteriormente, dall’1,3% all’1,2% e lo stato di abbandono del parco mezzi era peggiorato ancora, tanto da rendere un vero incubo l’attesa della prossima esercitazione della Very High Readiness Joint Task Force, brigata multinazionale della Nato.
Appena un anno fa, infatti, dei 244 carri armati Leopard in organico, 105 risultavano “pronti all’uso” ma appena nove erano armati secondo i requisiti richiesti dalla manovra. Insomma, se un giorno la Russia decidesse davvero di attaccarci, sarebbe meglio non contare troppo su Berlino. Nel 2019, gli stanziamenti sono finalmente saliti, di quasi cinque miliardi, il maggior incremento dalla fine della Guerra Fredda. Ma il totale è salito ad appena l’1,35% del Pil, sempre molto al di sotto dell’obiettivo Nato del 2%.
Lo scandalo delle consulenze. Le macchie nel mandato di Von Der Leyen vanno però ben oltre il discutibile stato delle forze armate. Tra gli scandali che hanno segnato i suoi anni alla Difesa il più grave è quello che riguarda i ricchissimi contratti assegnati a società di consulenza esterne in maniera diretta, ovvero senza gara. La questione, sollevata dalla Corte dei Conti, ha portato all’apertura di una commissione parlamentare d’inchiesta. L’accusa è di appalti illeciti e, essendo l’indagine ancora in corso, Von Der Leyen verrà molto probabilmente chiamata a risponderne di fronte al Bundestag nei prossimi mesi.
Si tratta di una vicenda molto complessa che ha al suo centro Katrin Suder, un ex manager di McKinsey assunta nel 2014 come segretario agli armamenti. Il suo ruolo, sulla carta, era quello di velocizzare le procedure di approvvigionamento. Un ruolo che Suder avrebbe interpretato con molta disinvoltura. Durante il suo mandato, le spese in consulenze esplosero. Molti contratti furono aggiudicati alla McKinsey stessa. Altri alla rivale Accenture, che dal 2014 al 2018 vide le commesse dalla Bundeswehr crescere di oltre 40 volte, passando da meno di mezzo milione a ben 20 milioni. Contratti che risulterebbero illeciti non solo perché assegnati in maniera irregolare ma perché non necessari.
Von Der Leyen ammise gli errori ma cerco di rubricarli a incidenti fisiologici in una fase di imponente aggiornamento delle dotazioni dell’esercito. Il sospetto è però che dietro a un simile giro di denaro ci fossero clientele e nepotismo. È difficile infatti non collegare l’enorme incremento del valore delle commesse ad Accenture con l’amicizia tra Suder e un manager di questa società, Timo Noetzel.
E Suder non è l’unico contatto di alto livello che Noetzel vanta nella Bundeswehr. Il capo del dipartimento pianificazione, struttura che ha una forte influenza negli appalti, è il generale Erhard Bühler, che fu addirittura padrino di battesimo dei figli di Notzel. Sia Suder che Bühler hanno ammesso le relazioni personali con Noetzel ma hanno negato che ciò abbia avuto un’influenza nei contratti concessi ad Accenture. I membri della Commissione del Bundestag non ne sono affatto convinti.
Il caso, esploso nel 2018 con la pubblicazione sui media di documenti interni della Corte dei Conti, si è poi arricchito di una serie di nuovi dettagli che sarebbe lungo approfondire. Verrà fuori, ad esempio, che a beneficiare di appalti senza gara era stata anche una società dove lavorava il figlio stesso della Von Der Leyen. E il ricorso della Difesa dai consulenti era arrivata a un punto tale che ai dipendenti di tali società sarebbero stati concessi i benefici dei dipendenti del ministero, dai contributi assicurativi all’accesso alla rete intranet. Un illecito rivelato dallo Spiegel e sul quale sta indagando la magistratura.
Quel che non è chiaro è quanto la Von Der Leyen fosse connivente con questo meccanismo. L’indagine interna aperta dal ministero sulla vicenda è stata definita dalla commissione d’inchiesta “superficiale, piena di buchi, contraddittoria e insufficiente ad affrontare problemi di queste proporzioni”.»(AGI, 17/06/2019)
Ovvio che una così non puoi che promuoverla con una sfolgorante carriera, in virtù di così grande esperienza nel settore, meglio se con incarichi apicali, ora che si è riciclata nel ruolo di generalissima nella sua nuova Commissione di Guerra, che ha improvvidamente resuscitato a nuova vita politica questo cadavere politico, rappattumando altri talenti dal resto d’Europa, raccattati tra gli scarti delle oligarchia liberali (vecchi reazionari da sagrestia ed ex banchieri in aspettativa).
Di fatto la Contessa è già in guerra, perché ha capito benissimo che la guerra vende.
Sul tema, il livello del suo immaginario è QUESTO!
In pochi (imbarazzanti) fotogrammi è contenuta tutta la stura del personaggio (infimo!). E fortuna che la “Signora” non conosce Call of Duty, sennò chissà che tirava fuori, al posto di tale trash terrificante in puro stile Anni ‘80!
Quello che le sfugge è che non si tratta di un ologramma motivazionale, per bimbiminkia che giocano alla guerra, improvvisando una partita di softair nel giardino di casa. E di certo la Von der Kulen non ha il phisique du role, per improvvisarsi a Ramba fuori tempo massimo, in un porno di pessimo gusto.
Fuori dai confini della UE, la Generalessa gode di scarsa reputazione e pessima stampa, laddove questa non può essere addomesticata, con le agiografie patinate alle quali ci hanno abituato gli “autorevoli” gazzettieri prezzolati, in servizio organico permanente di propaganda, incentivati con 16 milioni di euro, per “stimolare una sfera pubblica vivace e diversificata, in cui i cittadini abbiano accesso a informazioni affidabili sull’Unione Europea”. E infatti si è visto quanto libera e diversificata sia stata finora l’informazione in conto UE, dalle offensive fantasma di “Kyiv”, alle fantastiche Wunderwaffen che avrebbero ribaltato il corso della guerra.
«C’è un motivo per cui Donald Trump e Vladimir Putin hanno scelto di relegare l’Europa al tavolo dei bambini, anziché occuparsi dei colloqui di pace con l’Ucraina. E ha poco o nulla a che fare con il loro comune disprezzo per la “wokery” europea, o anche per quella che JD Vance, il vicepresidente degli Stati Uniti, ha chiamato “la minaccia dall’interno”, con cui presumo intenda le élite europee fuori dal mondo.
Piuttosto, il problema è che l’Europa si è ridotta a un’entità geopolitica irrilevante, che non riesce nemmeno a ritagliarsi un posto nella stanza, e tanto meno a influenzare gli eventi nel suo stesso cortile.
Nessuno incarna questa impotenza meglio di Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione europea, una politica nella migliore delle ipotesi del tutto mediocre. In quanto vice storica di Angela Merkel, un tempo era considerata una candidata sicura per la carica di cancelliere tedesco. Ma nessuna quantità di propaganda di pubbliche relazioni sulle sue presunte qualità da superdonna, nel combinare gli affari di stato con l’essere madre di sette figli, è riuscita a coprire i suoi fallimenti al ministero della difesa tedesco.
Ciò fu caratterizzato da una serie di scandali di appalti importanti e sempre più comici che avrebbero fatto naufragare ogni ulteriore ambizione che avrebbe potuto nutrire nella sua natia Germania. Il suo curriculum era così pessimo che Merkel si sentì incapace di sostenere la sua protetta quando si trattò di scegliere un successore.
Fortunatamente, a Bruxelles c’è sempre un benvenuto quando le porte di casa si chiudono di colpo. È la prova della scarsa considerazione in cui è tenuta la Commissione europea in gran parte del continente che Von der Leyen abbia ricevuto la presidenza essenzialmente come un premio di consolazione, una ricompensa per il fallimento, se vogliamo.
(…) Fondamentalmente si è trattato di un errore di valutazione o di un crescente atto di cattiva gestione dopo l’altro, a cominciare dalla sua incapacità di guidare una risposta europea congiunta alla pandemia.
(…) Dall’immigrazione alle sanzioni russe, Von der Leyen è stata completamente senza speranza e, riempiendo il suo gabinetto personale di amici tedeschi, è riuscita ad alienare anche il più fedele dei servitori di Palazzo Berlaymont. Più o meno tutti, prima o poi hanno storto il naso.
Nel frattempo l’economia europea si è fermata, indipendentemente dalle centinaia di miliardi di euro che la Commissione è incaricata di spendere nell’ambito del programma europeo di ripresa dal Covid per rimettere in moto le cose.
Il suo Green Deal è stato un disastro totale, ostacolando gravemente l’industria europea in un momento di aumento dei costi energetici, e persino i suoi accordi di libero scambio sono ampiamente condannati in quanto hanno gravemente svantaggiato i produttori europei.
(…) Von der Leyen è riuscita persino nell’impresa praticamente impossibile – in un blocco noto per la sua sensibilità ambientale – di sconvolgere gli attivisti in rivolta tentando di rimuovere le protezioni per le specie in via di estinzione di cui godono i lupi, questo dopo che uno di loro ha ucciso il suo pony di 30 anni, Dolly. È nella loro natura o non lo sapeva?
(…) Ursula Von der Leyen non avrebbe mai potuto assicurarsi un secondo mandato, se fosse stata sottoposta a un voto democratico popolare. E ci è riuscita solo grazie all’indifferenza, alla mancanza di alternative consensuali e, come spesso accade a Bruxelles, con accordi segreti dietro le quinte che implicano la promessa di favori futuri.
Detto questo, è senza dubbio vero che tentare di guidare questa nave di folli metterebbe alla prova le capacità anche del più esperto dei politici. Essendo stato escluso dai colloqui di pace, il vertice di emergenza dei capi di stato europei di questa settimana all’Eliseo ne è un esempio lampante.
(…) Giorgia Meloni, il premier italiano, è rimasta seduta per tutto il tempo in un silenzio apparentemente disgustato,come se stesse per eruttare come il Vesuvio; l’ipocrisia della sua posizione, che unisce l’adulazione per Trump a unodei livelli più bassi di spesa per la difesa in Europa, era sotto gli occhi di tutti.
Sotto quale maschera Von der Leyen era al summit? Come semplice funzionaria, chi rappresentava e sotto quale autorità prendeva posizione? Per chi, a parte se stessa, parlava?»
Jeremy Warner. “La leadership senza speranza di Von der Leyen ha portato l’Europa all’irrilevanza”
(The Daily Telegraph, 19/02/2025)